In quell’ultimo giovedì, al tramonto, Gesù pronuncia parole terribili su del pane e del vino. Parla di un corpo spezzato, di sangue versato.
Di un uomo consegnato. Cosa è stata la vita di Gesù se non un continuo e appassionato consegnarsi? Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: “prendete e mangiate”; neppure il suo sangue: “prendete e bevete tutti”.
Sera del tradimento, che inizia con l’abbraccio degli amici e termina in catene.
Sera dell’abbandono: e, abbandonatolo, fuggirono tutti.
È difficile immaginare una celebrazione dell’amore più realistica dell’Ultima cena. Non ha niente di romantico, è uno scontro con la complessità dell’amore, con i suoi conflitti e la sua vittoria finale.
È il momento della crisi, quando Gesù passa per il fuoco; il momento in cui tutto è esploso, tutto sembra finire. Dice ai suoi discepoli semplicemente e liberamente che è arrivata la fine, che uno di loro lo ha tradito, che Pietro lo rinnegherà, che gli altri fuggiranno, nella notte, ingoiati dalla paura.
Eppure lava loro i piedi.
Volete sapere qualcosa di voi e di me? – dice Gesù a discepoli e discepole di ogni tempo – Vi do un appuntamento: uno che è posto in basso. Che cinge un asciugamano e si china a lavare i piedi ai suoi. Li lava perfino a Giuda, che lo tradisce.
Chi è Dio? Il mio lavapiedi. In ginocchio davanti a me. Le sue mani sui miei piedi.