Quando si chiude la terra
I cimiteri sprangati non si erano mai visti. Nemmeno in tempo di guerra. Ma questi sono tempi nei quali il nemico si annida tra gli anonimi che incontri per strada, tra coloro i quali non rispettano il suggerito distanziamento sanitario. Si nasconde dentro di noi, tra gli asintomatici i quali, a propria insaputa, lo diffondono ai vicini. Doverosa e opportuna, quindi, la decisione di chiudere i cimiteri nei giorni deputati al sovraffollamento, agli spostamenti dei congiunti, alle riunioni familiari con la tradizionale merenda di castagne e vino nuovo.
Più che il lamento funebre accanto alle tombe, s’odono in questi giorni gli alti lai dei fioristi e venditori di ceri i quali si sono vista sfilare, per decreto governatoriale, una delle poche opportunità di fare cassa. La serrata imposta dalla pandemia farà marcire nelle serre sei mesi di fatica. Senza che per la categoria colpita siano stati predisposti indennizzi e provvidenze. Sarà pur vero che fin che c’è vita c’è speranza ma andatelo a dire a chi sulle onoranze funebri ha costruito un’azienda che rischia l’agonia.
È ben vero che i fiori sulle tombe si possono ricollocare a far data da martedì 3 novembre, ma anche in questo contesto vale il detto che “passata la festa, gabbato lo santo”. Perché, più che ai defunti e al loro ricordo, molte tombe sono addobbate per i viventi, per i vicini della tomba accanto, perché non si dica o non si possa mormorare che “neanche un fiore ad Ognissanti”! C’è da scommetterlo, la prossima settimana migliaia di vasi finiranno al macero senza aver mai superato i cancelli, oggi sprangati, dei cimiteri.
Ognissanti è una ricorrenza solo cristiana. Come molti riti ha inglobato e si è sovrapposta a feste pagane. Per secoli i Romani celebrarono la fine del raccolto e dei doni della terra. Quel rito cadeva tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre. Altri popoli celebravano la notte delle calende d’inverno, il passaggio dal mondo della vita a quello della morte, la lunga stagione del gelo prima del risveglio della vita nella fioritura di primavera. Papa Bonifacio IV (VII secolo) tentò di abolire la celebrazione pagana per sostituirvi i riti della religione cristiana. Temendo le ire dei tradizionalisti, fissò al 13 maggio la memoria di tutti i Santi. Due secoli dopo, Gregorio IV (828-844) spostò la festa facendola coincidere con la ricorrenza pagana del giorno successivo alle calende d’inverno: il 1° novembre. Poiché il culto pagano era duro a morire, nel X secolo fu introdotta e fissata al 2 novembre un’ulteriore occasione di memoria per i defunti. I viventi si mascheravano da angeli e diavoli, accendevano fuochi. Prese corpo l’idea che nella notte di Ognissanti i morti tornassero nelle loro abitazioni. Fino allo scorso secolo, in taluni villaggi anche del Trentino lasciavano libera una stanza, con la finestra aperta, e sul letto, rifatto e pulito, collocavano un vassoio con una brocca d’acqua e un pezzo di pane. O un pugno di castagne. In altre contrade dell’Italia centrale, una pentola di ceci e di fave.
Nel mondo dell’ebraismo, i cimiteri non hanno fiori. Sulle tombe sono collocati sassolini raccolti sul greto dei fiumi. Anche i cimiteri islamici sono spogli. Ha raccontato l’altra sera Lino Zatelli, il parroco di San Carlo, a Trento, che ad Amman, un mussulmano devoto il quale faceva da guida a un gruppo di trentini spiegò la ragione di quelle tombe abbandonate. “Noi crediamo che quando uno muore è accolto dall’abbraccio di Dio. Addobbarne la tomba sarebbe il tentativo di trattenere il suo spirito con noi. Una manifestazione di egoismo, più che di amore”.
In questo senso va interpretata anche la tradizione del mondo contadino e valligiano. Anche da noi, quando moriva qualcuno, e di solito si moriva in casa, si spalancava la finestra per lasciare uscire l’anima del congiunto. Libera, verso il proprio destino finale.
Si diceva, allora, che “i vecchi se ne vanno quando si chiude la terra”. D’autunno e d’inverno. Perché la primavera era e rimane la stagione della vita.
Alberto Folgheraiter
2.11.2020