Preti di frontiera
Le noci della carità
al tempo del Covid
Fra Galdino ha messo radici in Clarina, a Trento. Nella parrocchia di S. Carlo dove fa il parroco da 19 anni. Lino Zatelli, 69 anni, pastore scoppiettante di una comunità effervescente, ne ha inventata una delle sue. S’è messo a offrire noci dall’altare dove dice messa. Un sacchetto di noci in cambio di un’offerta per la Caritas parrocchiale. L’idea, in verità, è stata del suo amico Marcello Farina, altro prete sulla frontiera degli scarti della storia. Il Bleggio, la terra natale dei Farina, anziché il frumento coltiva da sempre gli alberi di noce.
Fino a quando, a Campo Lomaso, c’era il convento dei Francescani, chiuso nel 2005, i frati da cerca battevano le campagne e i villaggi del Bleggio per la raccolta delle noci. C’era chi offriva un sacco, chi una manciata di quel frutto da cui si ricavava l’olio per la lampada di casa. La cerca delle noci rimanda al XVII secolo della Controriforma avviata col concilio di Trento (1545-1563). Fu un tempo “caratterizzato da una grande vitalità ed espansione” dei Francescani Riformati in Trentino: è di questo secolo, infatti, l’apertura di sette conventi a partire dai due originari di Trento (San Bernardino) e Arco (Santa Maria delle Grazie).
Sollecitata dalla popolazione fin dal 1649, la presenza dei Francescani fu contrastata dall’arciprete di Lomaso che temeva “di perdere prebende, autorità e prestigio”. Tuttavia, dodici anni dopo e in seguito a una malattia che lo aveva portato sulla soglia dell’aldilà, fu lo stesso arciprete a premere per l’arrivo dei frati nel territorio della Pieve di Lomaso.
Stando al romanzo “I promessi Sposi” del Manzoni, in quegli stessi anni nel convento di Pescarenico operava fra Galdino. Il quale andò da Agnese, la mamma di Lucia angariata da don Rodrigo. Fra Galdino raccontò alla donna la singolare vicenda di un albero di noci che volevano tagliare per far legna poiché da anni non faceva frutto. Un racconto edificante per sollecitare l’uditorio a dare sfogo alla generosità.
Concluse il frate che “la cerca delle noci rendeva tanto, tanto che un benefattore, mosso a compassione del povero cercatore, fece al convento la carità d'un asino, che aiutasse a portar le noci a casa. E si faceva tant'olio, che ogni povero veniva a prenderne, secondo il suo bisogno; perché noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire a tutti i fiumi”.
Così pensò, probabilmente, il “fra Galdino” della Clarina.
Alla sua porta e a quella della Caritas bussavano ogni giorno sempre più poveri, anche del cosiddetto ceto medio d’un tempo, gravati dai debiti e dalle conseguenze della pandemia.
Quinto dei sette figli di Leone Carlo e Gisella Perini, segno del toro, Lino Zatelli è nato a Sorni di Lavis il 4 maggio 1951. È diventato prete (1978) tra i Pavoniani (Artigianelli) dopo aver frequentato gli studi teologici presso l’università di Milano. Per otto anni ha fatto il “missionario” a Genova, tra i ragazzi di strada e le donne da marciapiede. Era di casa nel rione di via Pré dove “Bocca di rosa” si tirava addosso “l’ira funesta delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso” (de André).
“Fu un’esperienza straordinaria, di una umanità che ha segnato la mia vita”, racconta oggi. Tornato in Trentino è stato parroco in Vallarsa per sei anni, poi parroco a Meano, Vigo Meano e Gazzadina; per sette anni decano di Lavis. Dal 2001 è parroco di S. Carlo Borromeo alla Clarina, 7.300 anime. Qui, in questi anni, ha tentato nuove strade per frenare la secolarizzazione. Ci è riuscito? Mentre le chiese, soprattutto nell’anno di Covid, ma anche prima, son per larghi tratti vuote, la chiesa di uno dei patroni degli appestati – il contagio del 1575 a Milano è detto “la peste di S. Carlo” – fatica a contenere i devoti. Inoltre, da quando a fine febbraio, Marcello Farina ha smesso di dir messa al sabato sera nella chiesa della Trinità, accanto al liceo “Prati”, gran parte dei “liberi pensatori” si sono trasferiti proprio alla Clarina.
Qui, Lino Zatelli ha proposto tavoli del confronto e conferenze su temi scottanti come la sessualità, il credere-non credere, la religione degli altri e l’accoglienza dei diversi. Le sue messe vanno oltre i canoni tradizionali. Il Vangelo è spiegato alla luce della cronaca di oggi più che ancorato alla civiltà giudaica pastorale e nomade di duemila anni fa. È aiutato, in questo, da un consiglio pastorale (che con le pecore non c’entra nulla) e del quale fanno parte studenti e artigiani, professionisti e casalinghe. Tutti con lo sguardo rivolto all’avvenire più che alle regole. Tanto per dire, due anni fa e senza far tanto clamore, Lino Zatelli ha battezzato i figli di una coppia gay. Quando, qualche settimana fa, papa Francesco ha sdoganato quello che per secoli è stato un tabù, il parroco della frontiera cattolica ha stappato una bottiglia d’annata.
Racconta: “Fin che la partecipazione alla messa era consentita senza limite di posti, il sabato e la domenica abbiamo avuto una media di quattrocento persone per celebrazione. Adesso, con le restrizioni imposte dalla pandemia, il distanziamento di due metri tra l’uno e l’altro, nella nostra chiesa abbiamo dovuto ridurre la capienza a 84 posti. Anche domenica scorsa alcune decine di persone sono state costrette ad ascoltare la messa fuori, nel piazzale”.
Tutti in religioso silenzio per sentire le parole di colui il quale, con buona dose di invidia (più che un vizio capitale è considerata una virtù, dice Paul Renner) certi suoi confratelli chiamano “prete da crociera”. Fin che si è potuto viaggiare liberamente, Lino Zatelli non ha disdegnato di accompagnare – come Marcello Farina o Piero Rattin – migliaia di trentini in viaggi culturali e non soltanto. Ha compiuto almeno 150 viaggi (48 solo in Israele) in varie Nazioni: dal Vietnam alla Cambogia, dalla Russia al Brasile, dall’Iran all’Uzbekistan, dalla Polonia alla Giordania, all’Egitto.
Questo spiega l’apertura mentale, la profondità del pensiero, la conoscenza dei luoghi dove si è fatta la storia della Salvezza.
Così ha abolito le prime comunioni un tanto al chilo. Quelle con tutti i bambini in chiesa nel giorno stabilito e poi il fuggi fuggi generale. Per le famiglie che lo desiderano e dopo una preparazione adeguata, in San Carlo c’è la proposta della comunione e magari pure della cresima “ad personam”. Un solo ragazzino o ragazzina, protagonista per un giorno, nella messa della comunità. Una tunica bianca e un rito ridotto all’osso.
Adesso che i preti scarseggiano, la diocesi di Trento guarda alla parrocchia di San Carlo come a un laboratorio. Certo, le critiche non mancano. Perché i tradizionalisti e, paradossalmente, si trovano più tra i giovani che tra i praticanti anziani, sono in agguato. Anche le noci sull’altare, probabilmente, faranno storcere la bocca a chi pensa che la chiesa debba essere esclusivamente un luogo asettico della devozione impersonale.
Qui la gente arriva molto prima della messa. Per incontrare gli amici o coloro i quali, nel corso degli anni, sono diventati tali. Si parla, ci si raccontano gli accadimenti della settimana. Nessuno s’azzarda a imporre il silenzio, come se nel tabernacolo ci fosse Gesù Cristo addormentato.
Nell’angolo, una cantante lirica prova alcuni brani della messa. Quando è morto Ennio Morricone, le musiche di quel fine settimana, nella chiesa di San Carlo alla Clarina, erano quelle dei film di “C’era una volta in America”, “The mission” e “Nuovo cinema Paradiso”. Il prete passa tra i banchi, saluta, si fa nuovi amici e propaganda la bontà delle noci del Bleggio.
Oltre alle noci, “fra Galdino” fa cultura. Religiosa e non soltanto.
Alberto Folgheraiter