Le dimissioni dei “maestri”
Quel che è certo è che il crescente influsso degli influencer corrisponde – al tempo stesso come effetto e come causa – al tramonto dei “maestri”, di quelli veri, che insegnavano a porseli, questi problemi, e ad affrontarli con spirito critico, senza «pendere dalle labbra» di nessuno, proponendo non consigli sull’abbigliamento o sulle ricette di cucina, ma le domande di fondo decisive per le scelte pubbliche e private.
E non si parla qui solo dei grandi intellettuali che un tempo orientavano la cultura della nostra società. Il processo che ha portato gli adulti a dare le dimissioni dal loro compito, di educatori ha colpito, prima di tutto, genitori e insegnanti. Sia nelle famiglie – sempre meno in grado di trasmettere ai loro figli un patrimonio convincente di valori –, sia nella scuola, sempre più concentrata (quando va bene) sulla mera “trasmissione dei saperi” – la capacità dei “maestri” di proporre ai giovani messaggi significativi è oggi immensamente inferiore a quella di qualunque influencer.
Proprio la pandemia ci sta mettendo di fronte alle conseguenze di questa crisi educativa, esasperando le tensioni di rapporti in cui il grande assente era, già da tempo, il dialogo, condizione imprescindibile per educare. Impossibile in un rapporto frettoloso di convivenza, come quello che spesso caratterizzava la vita familiare prima del Covid; superfluo a scuola per un mera trasmissione di conoscenze, il dialogo, in questa emergenza, si è rivelato indispensabile proprio nell’esasperazione della sua assenza.
Senza dialogo, il rapporto genitori-figli si liofilizza in un repertorio di frasi fatte e i ragazzi, sequestrati in casa e lasciati soli, cercano sullo smartphone o nel computer i possibili interlocutori, col rischio di trovarvi quelli sbagliati. Così come, senza dialogo, diventa problematico un rapporto scolastico puramente virtuale, che dovrebbe avere la sua linfa in una comunicazione umana e che invece continua a fondarsi su lezioni frontali ispirate al vecchio schema unidirezionale.
Eppure, proprio questo emergere con maggior evidenza di un disagio covato già da tempo, può costringere genitori e insegnanti a ripensare il loro ruolo educativo e a rendersi conto, una buona volta, che proprio loro – non gli influencer! – devono essere i “maestri” dei loro figli e dei loro alunni, instaurando con essi una comunicazione degna di questo nome.
Compito impegnativo, perché il dialogo richiede l’ascolto e l’ascolto, a sua volta, disponibilità di tempo e di attenzione. Se vogliamo che le nuove generazioni non siano allevate dagli influencer nella “fiera delle vanità” della società massificata, bisogna che noi adulti riscopriamo il volto dei singoli e impariamo di nuovo ad ascoltare i loro problemi, le loro angosce, i loro desideri. Che usciamo dalla logica perversa del negoziato sui “sì” e sui “no”, a cui spesso si è ridotto il rapporto in famiglia, o dei programmi e delle interrogazioni, a scuola, e ritroviamo il gusto di parlare davvero.