Consigliamo un piccolo sforzo per una lettura non consuetudinaria e non “consumistica” del vangelo di Marco 4, 35-40. Una lettura attenta soprattutto al rimprovero da parte di Gesù verso i suoi che, nel pieno di una tempesta, incapaci a gestire l’evento, cercano una fuoriuscita “miracolistica”: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Gesù li rimprovera: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
Qui Gesù pone un’alternativa drastica tra la Fede e la Paura! Alternativa drastica non solo per le prime comunità cristiane, ma anche per noi cristiani del terzo millennio.
Secondo gli esegeti, Marco riporta questo fatto perché lo riteneva altamente significativo per la sua prima comunità. La barca è la comunità cristiana che nei tempi delle persecuzioni, dopo l'Ascensione di Gesù, era come una barca che andava a fondo. Gesù non c'era, i piccoli gruppi di credenti, in mezzo alle persecuzioni che portarono anche Pietro in prigione, erano attraversati dalla paura. Amaro è il commento di padre Balducci: «Questa immagine della barca, che ha avuto un grande destino nella metafora cristiana, ci richiama ai tempi in cui i cristiani per vincere la paura hanno trovato altri accorgimenti: hanno fatto una corazzata, si sono garantiti tutte le protezioni. Ma nel seguire la paura essi hanno così vinto la paura nei modi con cui la vince il mondo» (Gli ultimi tempi, Vol. 2°, pag. 245). Il riferimento è agli accordi con il potere, a partire da Costantino per finire con Mussolini…
Di fronte a questo brano evangelico, dunque, ci si pone una serie di domande: come porci, noi cristiani, di fronte alle inedite paure di questo ventunesimo secolo? Fondiamo le nostre sicurezze sul conto in banca, sugli appoggi di potere, sui privilegi di casta? Speriamo in un intervento miracolistico che prescinda dalle nostre responsabilità? O sappiamo stare, senza paura ma con amore responsabile e combattivo dentro le tempeste della vita e della storia?
Dico “senza paura” perché trovo una radicale impossibilità di convivenza tra la Fede e la Paura. E trovo assurda la “fede” che si nutre di paure per sottomettere e abbonire uomini e donne di ogni tempo. E non è senza motivo se, su questo tema, papa Francesco si esprime con questi termini: «La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli». (Discorso ai partecipanti al 3° Incontro mondiale dei movimenti Popolari – 5.11.2016)
Così come ci avvertiva, negli anni novanta del secolo scorso, don Tonino Bello: «Lo sappiamo, oggi le paure hanno traslocato. Si sono trasferite dalla fascia cosmica (Il buio, il lampo, il tuono, i terremoti, le tempeste ecc.) alla fascia antropologica. Non si articolano più attorno al cuore della natura: si articolano attorno al cuore dell'uomo. Oggi, cioè, non si ha più paura della carestia provocata dalla avarizia della terra, ma della carestia prodotta dall'avarizia dell'uomo. È dal cuore umano che nasce e si sviluppa la nube tossica delle paure contemporanee» (Sui sentieri di Isaia, p. 116).
Il vero miracolo sarebbe, allora, una comunità di uomini e donne liberi da ogni paura, responsabili delle proprie azioni e coscienti che il “Paradiso” non ci sta alle spalle, come nella lettura fondamentalista della Genesi, né sulla testa, come nel sogno di troppi “credenti”, ma davanti, come dono di Dio affidato al lavoro responsabile dell’uomo.