Morti anonimi e riconoscenza zero
“Ricordo il ritorno in casa dei due becchini salariati a seppellire che non bastavano e i loro aiutanti in cimitero a preparare lunghe fosse, e come si doveva tener pronte un certo numero di casse. Non più si sentiva le campane, non si facevano accompagnamenti d'obito, nulla che potesse inquietare il popolo già impaurito, costernato”. Così Ignazio Carli, a metà dell’Ottocento, nelle sue memorie “Mio padre granatiere di Napoleone”, sull’epidemia di colera del 1836 nel Lomaso.
Una cronaca, non dissimile, nella piana Rotaliana dove la popolazione, stremata dal contagio, voleva a tutti i costi andare in processione fino alla Nave per dire orazioni a San Rocco. Il 16 agosto, scriveva Francesco de Filos, “si videro 300 individui a capo nudo sotto i cocenti raggi del sole, preceduti da una gran croce, incamminarsi alla volta della Nave a propiziare San Rocco. Funesto, e da citarsi in esempio, fu l'effetto di questa ostinazione e disobbedienza ai consigli e alle ammonizioni dei saggi. Imperocché il dì susseguente, il 17 agosto, furono fra gli altri 30 di questi pellegrinanti colti dal Cholera. La mortalità salì al colmo in quel giorno con ventiotto morti. Nei giorni successivi altri cinquanta soccombettero e in massima parte perirono”. In otto giorni a Mezzolombardo vi furono 145 morti. Alla fine dell'epidemia, il 10 settembre 1836, nella sola borgata rotaliana, che aveva 2.221 abitanti, si contarono 268 vittime; a Mezzotedesco (Mezzocorona) i morti furono 115 su una popolazione di circa mille anime.
Il terrore fu grande. Come in molti altri villaggi del Trentino, furono sospese le funzioni nelle chiese e fu interdetto il suono delle campane per non spaventare ulteriormente la popolazione. Le sepolture erano sbrigate in fretta, di notte, senza funerale.
In questi giorni, sia pure in proporzioni diverse, la situazione presenta qualche analogia. La prima ondata pandemica del Covid-19, in primavera, ha causato 480 morti in provincia di Trento. La ripresa d’autunno-inverno ha già aperto la fossa a 370 persone.
Al cimitero di Trento il personale addetto alle inumazioni è costretto agli straordinari. Il comune ha dovuto distaccare altro personale in aiuto. I preti, falcidiati anche loro, devono fare lo slalom tra un funerale e l’altro. Quanto ai congiunti, il dolore si somma al dolore. C’è chi non può nemmeno accompagnare l’ultimo viaggio di un genitore, o di un fratello, perché bloccato in casa da una quarantena conseguente alla scomparsa del congiunto per Covid. A una morte, spesso in solitudine, si aggiunge l’estremo saluto senza nessuno che possa rappresentare, con la propria presenza, almeno un brandello di umanità. In questi mesi, la morte è stata ridotta a un numero, utile forse per gli Istituti di previdenza e per l’ufficio centrale di statistica. Ma dietro a ogni morto di Covid, e non soltanto, c’è un nome e un cognome, c’è una vita di fatiche e di riscatto, di successi e di sconfitte, di generosità e di disinteresse. Vale a dire tutto ciò che fa di un essere umano una persona. E se è vero che la morte si sconta vivendo, è altrettanto sacrosanto che non si può morire da anonimi. Un numero della tombola sulla cartella dell’esistenza.
A tale proposito converrà spendere almeno due righe per tutti coloro, e sono una moltitudine, che stanno spendendo professionalità, intelligenza e cuore per gli ammalati. Negli ospedali, nelle case di riposo, in famiglia. Nei mesi del confinamento totale erano tutti osannati come gli eroi. Al punto che i fornai e i negozianti portavano ceste di brioches e pasticcini fuori dai reparti ospedalieri. Piccoli gesti per far sentire i medici, gli infermieri e tutto il personale al centro della gratitudine generale. Sull’onda della commozione, i titolari della spesa pubblica avevano promesso un riconoscimento anche in busta-paga. Sono arrivati pochi spiccioli, ben tassati come si conviene. In questo inverno della ripresa pandemica, non si dice un applauso ma nemmeno una medaglia di cartone. Avanti con le cifre del giorno, con la statistica snocciolata e “ammorbidita” in diretta facebook. La riconoscenza può attendere.
Alberto Folgheraiter