(Gv 19,25-27) Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé (Gv 19,25-27).
STABAT MATER
PRIMO MOMENTO
Maria stava : è la cosa più difficile per una madre. Stare è il contrario di fuggire, di sottrarsi, di far finta di capire; ma è anche il contrario di esagitarsi, voler aiutare, voler intromettersi, soprattutto quando il figlio appare bisognoso di aiuto, in situazione di pericolo.
Stare è fare la volontà di Dio.
Ma perché questo figlio non usa il suo potere per far fuori quelli che lo accusano, lo disprezzano, tramano contro di lui? Eppure lei sapeva come stavano le cose. Ma non si intromette. Ha fiducia in lui anche quando lo vede fallire. E lo vede sempre più solo. Stava.
E il fallimento si delinea sempre di più come via della croce. Forse lei sperava in quelli che lui aveva beneficato, sperava nei suoi amici: prenderanno le sue parti, lo difenderanno. E invece scappano, lo abbandonano. Sono più interessati a salvarsi la pelle.
E lei sta sotto la croce. È il momento in cui non può più fare niente per lui, il Figlio. È assolutamente impotente, inutile. Per una madre essere inutile mentre il figlio soffre è la più grande delle prove. La madre sa che darebbe per lui il suo sangue, la sua vita. Pur di salvarlo. Pur di sottrarlo alla sofferenza atroce che sta subendo. Eppure non dice: “Non c’è niente da fare”. Non se ne va. Sta.
E non le importa più di chi ha torto o ha ragione, non importa più se lei “capisce” o no; lei sa soltanto che il figlio soffre. E lei non può fare niente: è la prova più grande, per una madre. Non può nemmeno pensare che il suo stare lì sia in qualche modo di aiuto: lei sa soltanto che sta, impotente.
SECONDO MOMENTO
E si sente regalare un figlio: «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19,26). Questo Figlio è così “spogliato” di tutto che regala persino sua Madre. E lei sta con questo figlio. Di nuovo, non fugge, non si rinchiude nel suo innominabile dolore, nel fatto che ha diritto di piangere perché le è stato rubato il Figlio Annunciato.
Nessuno dei quattro Vangeli dice che il Risorto per primo si è mostrato a sua madre. Lei, nel suo stare, ha deposto tutti i suoi diritti. Ci sono altre donne in prima linea, quelle che hanno trovato la tomba vuota. Forse lei ha sorriso a queste donne, che annunciano l’incredibile: lo hanno visto! La Madre ha deposto il suo primato: non reclama diritti, non si mette in prima fila, è felice dell’amore di cui gode il Figlio: stabat mater.
Maria ci insegna che il compito primario della maternità è lo stare. Non: esagitarsi, intromettersi, proclamare le proprie priorità, i propri crediti; e neppure sottrarsi, allontanarsi, prendere come scusa la propria impotenza e inutilità. Ogni figlio ha bisogno di una madre che sta (non fugge, non critica, non lo difende a modo suo e – soprattutto – crede di capirlo più degli altri). Una madre che sta è un capolavoro. Come Maria.
TERZO MOMENTO
«…e anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35).
La sofferenza di Maria a causa della morte del Figlio sulla croce: dopo tutto, è proprio lì, sotto e sopra quella croce, che si concentrano tutte le altre prove che la madre di Gesù può aver sopportato a causa di quello speciale Figlio. L’ultima prova, infatti, racchiude tutte le altre, e se quella del Calvario implica una sofferenza fisica paragonabile a un colpo di spada nell’anima, quelle precedenti, riguardanti soprattutto le relazioni, non saranno state da meno. La croce del Calvario è l’apice delle prove di Gesù e della madre, che ora si trova sotto quella croce.
Maria non sta da sola sotto la croce: i soggetti sono la madre di Gesù e altre donne: la sorella di sua madre, Maria moglie di Clèopa e Maria Maddalena. La madre del crocifisso non è abbandonata: c’è chi partecipa alla sua prova.
Maria, insomma, stava davanti al Figlio crocifisso, come si resiste in piedi, dignitosamente, nella prova più grande.
QUARTO MOMENTO
L’esito di questo dolore è noto. Gesù passerà attraverso la morte, ma la Madre non sarà sola in quel dolore: il discepolo Prediletto da quel momento la prenderà con sé, e la Madre di Gesù sarà per quel discepolo e per ogni discepolo che verrà dopo una vera Madre.
Dopo queste note esegetiche, vogliamo però concludere il commento con un testo che va oltre l’esegesi, cioè oltre quanto scritto nei vangeli sui quali ci siamo soffermati. La letteratura, infatti, riesce spesso a cogliere quanto c’è dietro le parole scritte, e Amos Oz, lo scrittore israeliano scomparso nel 2018, ha intuito che dietro quanto Giovanni dice sul dialogo tra Gesù e sua madre poteva esserci molto di più: il grido di un figlio – di ogni figlio – che quando muore chiama la mamma. Ecco ciò a cui Giuda – il protagonista del romanzo di Oz – assiste sul Calvario: «Per nove ore il crocifisso era andato avanti a gridare e singhiozzare. Fintanto che era durata l’agonia aveva pianto e urlato e gridato di dolore, invocato ripetutamente sua madre, chiamato e gridato con voce flebile e penetrante, una voce che pareva il pianto di un bambino ferito a morte e abbandonato solo in un campo a patire la sete e dissanguarsi sotto il sole cocente. Era un grido tremendo, un grido che andava su e giù e raggelava il sangue, mamma, mamma, e poi venne uno strillo straziante e di nuovo mamma. E di nuovo un pianto che si levò alto seguito da un flebile, lungo gemito, sempre più flebile, sfinente»[5].
I vangeli che abbiamo letto dicono tutt’altro, e se la compostezza della penna di Giovanni non lascia trapelare alcuna sofferenza dalla bocca del figlio morente – al fine di accentuarne la potenza e divinità – Amos Oz però ci ricorda che quel giovane uomo ha sofferto davvero, e sua madre con lui.