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"La tristezza di questi natali
Signore, ti muova a pietà.
Nulla che indichi l'incontro con la carovana
del Pellegrino;
non uno che dica in tutto l'Occidente:
"In casa mia si, c'è un posto"!
Non un segno di cercare oltre,
un segno che almeno qualcuno creda,
uno che attenda ancora colui che deve venire...
Non attendiamo più nessuno!
Tutto è immoto, pure se dentro un inarrestabile vortice!
È così, è Destino, più non ci sono ritorni,
né ricorsi: è inutile che venga!
Tale è questa civiltà gravida del Nulla!
Ora tu, anche se illuso di credere
o figlio dell'ateo Occidente, segui pure la tua stella
segui, dico, la stella
e troverai
non altro che spiritati manichini di mode folli
in volo dalle vetrine...
Poiché falso è questo tuo donare (è Natale! …),
falso perfino stringerci la mano
avanti la Comunione,
e trovarci assiepati nella Notte
a cantare "Gloria nei cieli ... ".
Nessuno conosce solitudine come il Dio di Gesù:
un Dio che meno di tutti può vivere solo!
Certo verrà, continuerà a venire,
a nascere ma altrove,
altrove..."
( padre david maria turoldo )
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Intervista a don Lino Zatelli
Parroco da 22 anni a Trento sud, nella zona della Clarina che ha una popolazione di circa 8 mila abitanti. Un osservatorio privilegiato per “leggere” la crisi dei cristiani d’anagrafe e la richiesta di senso. In tutti i sensi.
Mettiamo subito i piedi nel piatto: perché la Chiesa non abolisce il Natale?
“Dipendesse da me non abolirei il Natale, questo no. Tuttavia lo farei slittare, almeno per un periodo, collocandolo in una domenica dell’anno liturgico. Almeno per suscitare qualche interrogativo su un Natale diventato patrimonio pressoché esclusivo del dio del consumo, del regalo ad ogni costo, dell’obbligo del calendario”.
Così com’è stato ridotto, il Natale ha ancora senso?
“Non si può abolire la memoria, lasciamo alla storia la ritualità. Il Natale ha senso se ricondotto al messaggio di quel bambino ebreo venuto al mondo per indicare agli uomini la via della giustizia, l’unica che può dare e portare alla pace”.
Non è che decidere all’improvviso l’abolizione del Natale cristiano poterebbe gli uomini di Chiesa e i tradizionalisti in conflitto tra di loro?
“Probabilmente c’è anche questa paura. Io credo che solo uno choc, anche di questo tipo, potrebbe servire a richiamare la gente all’essenziale”.
Lei è parroco di una singola parrocchia, in città. Quando nella periferia della diocesi (il territorio che in Trentino coincide con i confini della provincia) ci sono parroci costretti a seguire la “cura d’anime” di decine di paesi e di villaggi. Non è un po’ un privilegio, il suo?
“Qui non si parla più di parrocchia da anni ma di comunità cristiana”.
Perché?
“La partecipazione alla messa e ai sacramenti non è più legata al territorio della parrocchia tradizionale di San Carlo, nel rione della Clarina a Trento”.
Quante persone ha in “cura d’anime”, come si diceva una volta?
“Le anime sono rivestite di corpo. Ebbene, la partecipazione di persone del territorio parrocchiale di San Carlo che frequentano la messa è stimata attorno al 35%. Il resto, ed è la maggioranza, arriva da fuori. Tanto è vero che io non mi reputo parroco solo di San Carlo poiché molti arrivano da altre parrocchie di città e dei dintorni: Besenello, Mattarello, Vigolo Vattaro, Vattaro, Meano, Vigo Meano, Gazzadina, San Michele, Verla, Cembra…”.
Mutuando il Vangelo: lasciate che i credenti e, magari, anche i miscredenti vengano a me?
“Qui si è creata una comunità cristiana, senza confini parrocchiali, che assomiglia ad altre della penisola. Penso a don Luigi Verdi della comunità romena ad Arezzo o a don Ermes Ronchi a Vicenza: sono comunità frequentatissime”.
Vengono da lei perché dice parole non scontate o perché è un prete di bocca buona e di manica larga?
“Il vescovo Lauro dice che non contano i numeri. Ma l’altra sera, per dare una risposta concreta, alla riconciliazione comunitaria hanno partecipato in due appuntamenti oltre 900 persone. Mi sono chiesto: che cosa muove quasi mille persone a partecipare a un momento di riconciliazione di comunità, ma soprattutto con Dio”?
E che cosa si è risposto?
“Per me questo tempo è intrigante perché manifesta una sete di valori e una sete di spiritualità”.
Non è, invece, che molti approfittano della assoluzione comunitaria senza dover passare dal confessionale a raccontare i fatti propri al prete? Pratica che fino al concilio Vaticano II serviva per un controllo sociale generalizzato e per il dominio delle coscienze.
“Sono quindici anni che porto avanti tale pratica in questa comunità cristiana. Né il vescovo Luigi, né il vescovo Lauro mi hanno imposto uno stop. Questa riconciliazione comunitaria è liberante. L’uomo di oggi ha bisogno di una liberazione collettiva di perdono: davanti all’umanità e davanti a Dio”.
Abbiamo visto in San Pietro, a Roma, una fila di confessionali antica maniera, con il prete in prolungata attesa di “penitenti”. Oggi la confessione cosiddetta “auricolare” sembra finita nella soffitta della storia…
“Probabilmente perché chi la praticava si sentiva controllata l’anima”.
E anche l’intimo. Ricorderà lo scandalo suscitato negli anni Settanta dal libro-inchiesta “Il sesso in confessionale”, di Norberto Valentini e Clara di Meglio. Oggi illustri psicoterapeuti, di chiara matrice cattolica, ammettono che l’insistenza dei confessori sui temi del sesso hanno rovinato intere generazioni di credenti…
“Più che controllo sociale era controllo della coscienza. E dove si vedono i risultati? Che oggi del sesso non parla più nessuno. Ognuno, anche i credenti, lo considera un fatto proprio che non deve assolutamente interessare al prete”.
Perché è la comunità che perdona?
“L’ho detto ai novecento “penitenti” dell’altra sera: abbiamo riscoperto la fratellanza della fragilità”.
Lei è un parroco brillante. Qualcuno l’ha definita il “Gassman con la tonaca” (anche se non la porta mai) della diocesi di Trento. La chiesa di San Carlo è sempre affollata perché dice cose che i suoi ammiratori vogliono sentirsi dire o perché hanno fame di verità altre e diverse da quelle stantie di certi pulpiti?
“Per avere un’alta partecipazione ci devi mettere passione. E chi ti ascolta lo percepisce. Ognuno di noi deve chiedersi se quando celebra la messa ci mette ritualità o passione. Quando Gesù Cristo celebra la cena ci mette tanta passione al punto da essere disposto a morire per la sua comunità”.
Non solo passione, ad ogni modo…
“Se uno non sa comunicare è un attentato al Vangelo. Perché il Vangelo è la buona notizia e se non la sai comunicare stufi chi ti ascolta e ottieni il risultato che i devoti non vengono più in chiesa”.
In passato, a quanto ci risulta, le sarebbe stata offerta una grossa parrocchia della valle dell'Adige. Avrebbe potuto dire le stesse cose che dice ancor oggi in una parrocchia di città?
“Conoscendo quella località direi di no. Tuttavia avrei potuto rompere la tradizione e, probabilmente, rompendo gli schemi avrei fatto breccia. Almeno in buona parte della popolazione”.
Chi sono coloro che frequentano la chiesa, oggi?
“È gente in ricerca, dai bambini (portati dai genitori) agli anziani. Non dobbiamo avere paura di questo tempo”.
Il Covid ha costretto anche lei a ricorrere alla messa in streaming. Un esperimento riuscito, stando ai contatti registrati: ogni messa due o tremila ascoltatori. Il futuro della predicazione passerà dal web?
“Non so se questo sarà il futuro. La carenza di preti e la dispersione dei fedeli porterà inevitabilmente anche a questo”.
A proposito: il vescovo Bressan in quindici anni ha sepolto trecento preti e ne ha ordinati trenta; il vescovo Tisi ne sotterrerà altrettanti e ne ordinerà una quindicina. La diocesi di Trento senza preti dovrà giocoforza ricorrere ai laici…
“E anche alle donne. Già papa Francesco ha annunciato che fra due anni nominerà una donna a capo di un dicastero romano. Abbiamo paura a declericalizzare.”
Il clero ha paura di perdere il potere?
“Certo. Paura di perdere il potere: sociale, economico, spirituale”.
Il concilio Vaticano II (1962-1965) non è mai stato completamente digerito da una parte del clero. Oggi si invoca da più parti un concilio Vaticano III. Un auspicio o una necessità?
“Una necessità, perché la Chiesa possa scoprire che è Popolo e non è gerarchia”.
Lei è anche un prete “da crociera”, nel senso che non disdegna accompagnare gruppi di turisti-pellegrini in Israele, in Oriente, in Europa. Che senso ha tutto questo?
“Accompagno gruppi di persone che sono in ricerca. È un modo anche questo di aprire le porte al Vangelo. Sarò andato in Terra Santa una cinquantina di volte e ogni volta è una scoperta e un arricchimento di umanità. È un’altra forma di essere Chiesa e di incrociare l’uomo in ricerca”.
Don “Bepi” Grosselli, scomparso qualche giorno fa alla soglia dei 96 anni, preparava le prediche leggendo il giornale. Oggi i preti leggono, si informano?
“Poco, anche perché sono costretti a correre da un paese all’altro, da una messa a un funerale. Più che pastori di anime, piloti da corsa. Così è, purtroppo”.
Roberto Vecchioni cantava: “E come è lunga questa notte. E cosa aspetta ad arrivare Dio”…
“È già arrivato e per la Chiesa è il tempo dei primi bagliori dell’aurora”.
Alberto Folgheraiter