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Nella nostra comunità cristiana,
si crede al valore
dell'assemblea domenicale...
Prime comunioni: non si è sempre fatto così
By: don Renato Pellegrini
Non è il caso di ritornare al suo originario significato di pieno inserimento nella Chiesa?
Con l’allentamento delle norme anti-contagio sono riprese nelle parrocchie le tradizionali celebrazioni di prima comunione… come si è sempre fatto. Almeno così si tende a credere.
Ma nella Chiesa non si è sempre fatto così. Prima del XVII secolo non esisteva alcuna festa di prima comunione. Nel corso del primo millennio anche i bambini, come gli adulti, hanno continuato a ricevere l’Eucaristia subito dopo il rito battesimale, con una goccia di vino consacrato, se ancora incapaci di deglutire. Lo storico Evangario (morto nel 600 circa) riporta la prassi vigente a Costantinopoli da far consumare dai fanciulli le specie consacrate avanzate. Stessa prassi è attestata anche nel 585 in Occidente da un sinodo di Macon, presieduto dal vescovo di Lione.
Verso la fine del primo millennio la teologia cominciò a riflettere sulla «presenza reale» e quindi si cominciò ad esigere una maggior consapevolezza nel ricevere il sacramento. Così il Concilio Lateranense IV (1215) stabilisce per la comunione l’età tra gli 11 e i 12 anni. Non erano previste cerimonie o feste particolari.
Tutto si svolgeva con un accordo tra i genitori e il parroco. Dopo il concilio di Trento (1545 – 1563) con la nascita delle scuole di catechismo, sorsero anche le feste collettive di prima comunione il cui accento era posto sull’aspetto devozionale e intimistico.
San Pio X nel 1910 abbassò l’età per ricevere la comunione per la prima volta ai 6/7 anni, mantenendo le stesse caratteristiche. Solo con il Concilio Vaticano II (1963 -1966) iniziò, o avrebbe dovuto iniziare, un cammino per restituire alla prima comunione il suo originario significato di pieno inserimento nella Chiesa.
«Nonostante gli sforzi catechistici e liturgici per liberare per liberare le prime comunioni da una visione individualista, essa resta ancora assai condizionata sia dall’individualismo che da una mondanità che ha preso il sopravvento anche sulla corretta devozione. Una deriva che chiama in causa le qualità di cristianesimo che sta a monte, dove i sacramenti sono ridotti a semplici cerimonie di adeguamento socio-culturale» (Silvano Sirboni, liturgista).
Ad alimentare gli equivoci ci si mette anche l’apparato pseudo-liturgico. Sirboni ne accenna alcuni: da qualche parte si prepara nella chiesa un tavolo a parte, quando invece si tratta di iniziare all’unico altare della comunità.
Da altre parti ci si ostina a celebrare la comunione in momenti diversi dalla messa domenicale in cui normalmente è convocato il popolo cristiano, ma con la prima comunione si tratta di iniziare proprio all’assemblea domenicale.
Sarebbe anche il caso di abituare i neocomunicandi all’abituale prassi domenicale dell’assemblea. Ricevano dunque la comunione come tutti, non per primi, non avvicinandosi uno alla volta al sacerdote…
Qualcuno è ritornato ad allestire i banchi con una tovaglia bianca dove i comunicandi ricevono il corpo del Signore restando al proprio posto, anziché, in processione, partecipare al comune cammino della Chiesa.
Come è possibile allora percepire la prima comunione come completamento del battesimo che inserisce nella Chiesa e impegna a essere un unico corpo?
Verrà lo Spirito, vi riporterà al cuore tutto di Gesù, di quando passava e guariva la vita, e diceva parole di cui non si vedeva il fondo. Ma non basta, lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera: apre uno spazio di conquiste e di scoperte; vi insegnerà nuove sillabe divine e parole mai dette ancora.
Sarà la memoria accesa di ciò che è accaduto «in quei giorni irripetibili» e insieme sarà la genialità, per risposte libere e inedite, per oggi e per domani.
Lévati o remoto Spirito/
candida già freme/
alta/
la vela
(Davide M. Montagna).
Al termine di una giornata puoi anche non aver mai pensato a Dio, mai pronunciato il suo nome.
Ma se hai creato legami, se hai procurato gioia a qualcuno, se hai portato il tuo mattone di comunione, tu hai fatto la più bella professione di fede nella Trinità.
Il vero ateo è chi non lavora a creare legami, comunione, accoglienza.
Chi diffonde gelo attorno a sé. Chi non entra nella danza delle relazioni non è ancora entrato in Dio, il Dio che è Trinità, che non è una complicata formula matematica in cui l'uno e il tre dovrebbero coincidere: «Se vedi l'amore, vedi la Trinità» (sant'Agostino).
Allora capisco perché la solitudine mi pesa tanto e mi fa paura: perché è contro la mia natura.
Allora capisco perché quando sono con chi mi vuole bene, quando accolgo e sono accolto da qualcuno, sto così bene: perché realizzo la mia vocazione.
L'ascensione al cielo non è una vittoria sulle leggi della forza di gravità.
Gesù non è andato lontano o in alto o in qualche angolo remoto del cosmo.
È “asceso”' nel profondo degli esseri, “disceso” nell'intimo del creato e delle creature, e da dentro preme come forza ascensionale verso più luminosa vita.
A questa navigazione del cuore Gesù chiama i suoi.
A spostare il cuore, non il corpo.
È asceso il nostro Dio migratore:
non oltre le nubi ma oltre le forme;
non una navigazione celeste, ma un pellegrinaggio del cuore:
se prima era con i discepoli, ora sarà dentro di loro,
forza ascensionale dell'intero cosmo verso più luminosa vita.